As.P.I. alla Cattolica: la relazione di una studentessa

DSCN3501Con grande piacere pubblichiamo la relazione relativa al nostro intervento dello scorso 28 aprile 2016 all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, redatta da Jessica De Cristofaro, studentessa della facoltà di Scienze del Servizio Sociale, a cui vanno i nostri complimenti.

Università Cattolica del Sacro Cuore sede Milano,
Scienze Politiche e Sociale
Scienze del Servizio Sociale
Studentessa: Jessica De Cristofaro

Ho scelto come protagonisti della mia relazione tre ospiti, una affetta da morbo di Parkinson e due familiari, che si sono recati presso l’Università in data 28 Aprile 2016.

La testimonianza di questi EPE mi ha lasciato estremamente colpita poiché provengo da una situazione familiare simile, una persona cara e vicina ha scoperto di avere questa malattia.

La comunicazione della diagnosi di questa malattia invalidante ha causato in mia nonna come alla Signora un impatto traumatico, la persona che conduce una vita tranquilla in famiglia, che gode dei frutti del suo lavoro, frequenta buone amicizie e coltiva hobby viene colpita e costretta ad affrontare una battaglia. Inizialmente si potrebbe fare finta di nulla, un meccanismo di difesa chiamato negazione e non accettazione della malattia, in un secondo momento, si arrabbia e vive questa malattia come una ingiustizia. Successivamente, quando si devono affrontare ostacoli lungo il percorso, potrebbe reagire con l’alternarsi di momenti di stupore, rabbia, delusione e paura.

La famiglia, dove presente, dovrebbe non fare sentir sola a sfidare le intemperie e le difficoltà la persona. E’ fondamentale per i familiari e per i caregivers ribadire l’importanza di sollecitare i malati ad uscire di casa, a compiere il primo passo verso l’accettazione della malattia e la condivisione insieme agli altri di questo percorso.

Dalla testimonianza emersa la malattia di Parkinson rappresenta una delle prove più dure che la persona possa affrontare, perché colpisce sia a livello mentale sia fisico stravolgendo la vita e portando a modificare in parte i rapporti interpersonali.

Oltre ai lati negativi e invalidanti della malattia, bisogna scoprire le risorse che ogni essere umano possiede, le quali potrebbero essere utili per non farsi schiacciare dal morbo.

Considerate le molteplici difficoltà della malattia, un modo più piacevole ed efficace per affrontarla portato dai familiari e dalla stessa persona affetta dal morbo sono i GRUPPO DI AUTO MUTUO AIUTO, tiene legati l’uno con l’altro nei momenti di difficoltà, aiutano a dare senso alle proprie paure, a condividere e ad alleviare il vissuto di impotenza comune.

L’esperienza del gruppo A.M.A dei familiari di persone con morbo di Parkinson è stato promesso recentemente nel 2014, all’interno dell’Associazione Parkinson Insubria.

Il presupposto alla base dei gruppi di familiari e caregiver, che si prendono cura di un congiunto non più autosufficiente, è che l’esperienza di cura sia molto intensa, ricca di emozioni contrastanti. Spesso alla fatica e alla stanchezza fisica si aggiunge una condizione di fragilità emotiva. Il gruppo per i familiari di persone con Parkinson è nato per garantire uno spazio di confronto alla pari per coloro che quotidianamente sono impegnati nell’assistenza di un congiunto.

I gruppi A.M.A possono anche essere promossi tra persone che vivono direttamente la malattia (così come accaduto nell’Associazione a seguito di battaglie della Signora ospite in Università) e che possono trovare tra loro un modo per sfogarsi rispetto alle difficoltà quotidiane personali e di relazione con i propri familiari.

I gruppi nascono e sono nati per consentire alle persone, che volontariamente scelgono di ritrovarsi, di sostenersi vicendevolmente grazie alla condivisione di bisogni e preoccupazioni simili, è proprio a parere dal vissuto simile, dalle sensazioni dei familiari dei malati, che all’interno del gruppo nasce senso di comunanza e di appartenenza. Vivere una specifica esperienza di vita, come quella di prendersi cura di un proprio parente non più completamente autosufficiente e relazionarsi quotidianamente con il Parkinson, consente a coloro che si ritrovano in gruppo di scambiarsi racconti, informazioni e sostenersi a vicenda così che i partecipanti possano sentirsi meglio. Il vissuto di un familiare, attraverso il racconto e la narrazione, diviene di aiuto a tutto il gruppo, ma soprattutto condividendo con altri la propria situazione si aiuta a uscire da se stessi e altri dalla situazione di stallo venutasi a creare, le difficoltà dei singoli vengono condivise nel gruppo e ciò stimola la riflessività in chi è presente, cercando di trovare delle strategie per uscirne e non solo, in questo modo coloro che ascoltano possono apprendere dalle parole di altri.

Questa esperienza di gruppo favorisce lo sviluppo di capitale sociale perché i processi interni si basano su due fondamenti relazionali, che sono la reciprocità e la fiducia. L’eterogeneità dei membri favorisce una maggiore azione riflessiva, così da aiutare tutti i partecipanti alla ricerca di un miglioramento. Attraverso lo scambio d’idee, si rafforzano le capacità empatiche, l’abilità di cambiare prospettiva per capire l’altro e capirsi nella relazione: quel dare e ricevere come movimento continuo circolare, il processo manca di prevedibilità, come spiegato in aula si può discutere di varie tematiche legate alla malattia, possono essere confidati dei pensieri intimi e molte altre cose.

Sono differenti e molteplici le caratteristiche dei gruppi di Auto Mutuo Aiuto e possono essere così riassunte:

1. Implicano interazioni faccia a faccia;

2. Le origini di questi gruppi sono pressoché spontanee negli USA e G.B., mentre in Italia molti

vengono promossi da operatori degli enti pubblici o del privato sociale, in particolare dai Servizi

Sociali;

3.La partecipazione personale è l’elemento essenziale;

4. I membri esprimono condivisione e si impegnano in particolari azioni;

5. Il gruppo parte da una condizione di difficoltà condivisa da tutti i membri;

6. I gruppi diventano punti di riferimento, punto di connessione e identificazione con altri, una base

per l’attività e una fonte di auto-rinforzamento;

7. I gruppi aiutano la creatività e portano le persone a sviluppare cittadinanza attiva.

Caratteristica importante è la costanza della sede degli incontri del gruppo, è importante che rimanga la stessa per la durata del gruppo, una caratteristica importante è il setting, fondamentale che i membri del gruppo lo riconoscano come proprio, poiché se i membri lo vivono bene parleranno in maniera più libera e tranquilla.

In conclusione vi è un’altra regola, la più importante: ogni regola è decisa e definita dal gruppo.

I gruppi A.M.A sono accompagnati da un facilitatore, più volte è stato nominato il suo ruolo durante la testimonianza. All’interno dei gruppi possono distinguere due differenti situazioni: in alcuni casi i gruppi vengono promossi da operatori, che in qualità di professionisti dell’aiuto si mette a disposizione per facilitare e promuovere delle dinamiche di aiuto; in altri casi i gruppi vengono avviati da volontari, non da professionisti dell’aiuto, che si rendono disponibili, di solito si tratta di persone che hanno già partecipato a simili esperienze.

La funzione del facilitatore, lodata più volte durante l’incontro, supera il puro concetto di supervisione applicando la dimensione dell’auto/mutuo aiuto in tutte le sue sfaccettature.

La costituzione di una rete di fronteggiamento orientata alla medesima finalità condivisa, ovvero cercare di affrontare insieme le difficoltà e le gioie della facilitazione, attraverso relazioni di fiducia, di reciprocità, di genuinità e di dono, è possibile confrontarsi apertamente su questioni relative alla facilitazione dei gruppi AMA, senza ricevere in modo direttivo indicazioni e giudizi sul proprio operato.

Il facilitatore è il termine che indica la persona che si mette a disposizione del gruppo e contribuisce, attraverso le sue capacità personali o professionali, a facilitare il buon funzionamento del gruppo. Le azioni del gruppo di auto mutuo aiuto non avvengono sempre spontaneamente e il ruolo del facilitatore è quello di guidare e mediare la discussione.

Non esiste un metodo perfetto d’essere facilitatori, io stessa sto provando questa esperienza nel mio Stage.

Il facilitatore cura all’interno del gruppo l’accoglienza dei nuovi partecipanti, tutela le dinamiche del gruppo, è di aiuto nei momenti critici. Deve sapere ascoltare, essere empatico e promuovere l’empatia tra i partecipanti; deve avere fiducia nei singoli membri e nelle potenzialità del gruppo di crescere; deve accettare, non giudicare e favorire negli individui atteggiamenti e comportamenti non giudicanti. Nel suo ruolo di promotore di empowerment, il facilitatore deve sviluppare autonomia e non creare dipendenza da lui o da altri membri del gruppo.

I fondamenti dell’Auto Mutuo Aiuto ragionano sulla base e su principi su cui si basa l’approccio idealogico, nel concreto si dovrebbe utilizzare un approccio democratico alla cultura del gruppo, dove c’è libertà di comunicazione e interazione tra i membri; favorire un clima il più possibile creativo; esplicitare una ragion d’essere e una finalità, esplicitata dal facilitatore all’inizio per sentirsi alla pari delle persone che sono all’interno del gruppo; favorire la circolarità e la comunicazioni con altre persone.

All’interno del gruppo è possibile condividere le preoccupazioni connesse all’esperienza di cura di un proprio caro con altre persone che vivono una simile condizione di vita e che possono comprendere. Il facilitatore aiuta il gruppo a definire le proprie “regole”. Tra queste vi è la riservatezza, a cui si impegnano tutti i partecipanti compreso il facilitatore, quello che emerge nel gruppo deve rimanere nel gruppo. Il rispetto, il non giudizio e il parlare in prima persona sono altre regole fondanti la vita di un gruppo, proprio per aiutarci a non giudicare gli altri durante gli incontri occorre sforzarsi di parlare di sé, in prima persona e delle proprie esperienze. Parlare in prima persona permette di attivare quello che, in termini metodologici si chiama HELPER THERAPY: AIUTANDOTI MI AIUTO, ci si riferisce alla modalità di counseling sociale, però di gruppo e in una situazione di difficoltà. Mentre la persona racconta la storia di difficoltà sta aiutando l’altra persona, nel concreto può essere che una persona che ha già vissuto quella situazione ascolti attivamente, oppure un’altra persona sta passando una simile difficoltà e non ha ancora trovato la strategia di uscita da questo nodo. Più esplicito le situazioni di difficoltà e più avrò consapevolezza di queste, proprio la stessa persona in difficoltà può aiutare chi ha difficoltà a lui “simili”. Quindi offrire un aiuto efficace migliora l’immagine dei membri come persone competenti, quindi mentre aiuto gli altri aiuto me stesso e genero il principio dell’ Helper Therapy.

Altro passaggio metodologico ascoltato dalla testimonianza dei nostri ospiti è la gemmazione del gruppo, ovvero dal gruppo “storico” dei parenti che curano i propri congiunti, alla promozione di un gruppo A.M.A per le persone affette dal morbo. Gli stessi ospiti hanno raccontato la possibilità di unioni dei due gruppi.

Il compito del facilitatore sarà quello di dover dire espressamente che il gruppo per essere definito “aperto”, deve essere disposto a gemmarsi. Le persone fanno molta fatica a comprendere questo cambiamento, anche se è un passaggio molto logico nella promozione della mutualità, perché da un gruppo ne nascono due e così via…

La gemmazione di un gruppo A.M.A è delicata e i criteri guida da adoperare per questo processo sono:

1. dividere le persone in base al processo di socializzazione, quindi suddividere gli “storici” nei due gruppi;

2. per rendere meno traumatica la gemmazione rispettare il genere, metà uomini e metà donne;

3. importante è dichiarare la necessità di gemmazione fin dall’inizio del gruppo a tutti i partecipanti, se vi sono delle resistenze, perplessità o dubbi è compito del facilitatore riportare le riflessioni sulla necessità del processo.

Quando due gruppi distinti si gemmano ogni facilitatore dovrebbe adottare la tecnica metodologica dell’intervisione, ovvero i facilitatori dovrebbero ragionare con altre persone del gruppo per capire come muoversi e cosa sta accadendo.

«Nel nostro mestiere la finalità è quella di affrontare, – trovare la maniera di affrontare la contraddizione che noi siamo: oppressori ed oppressi, e che dinanzi a noi abbiamo una persona che si vorrebbe opprimere. Bisogna fare in modo che questo non avvenga. L’uomo ha sempre questo impulso, di dominare l’altro; è naturale che sia così. E’ innaturale quando si istituzionalizza questo fenomeno oppressivo. Quando c’è un’organizzazione che, approfittando dei problemi contraddittori, crea un circuito di controllo per distruggere la contraddizione, assolutizzando i due poli della contraddizione ora in un modo ora nell’altro. Noi rifiutiamo questo discorso. Noi diciamo di affrontare la vita, perché la vita contiene salute e malattia, e affrontando la vita noi pensiamo di fare la prevenzione. Pensiamo di fare il nostro mestiere: di infermieri, di sanitari, di medici.»
Franco Basaglia,
(in Lezione/conversazione con gli infermieri nel congedo da Trieste, 1979)

Credo che la citazione riportata precedentemente spieghi in modo completo ed esaustivo cosa sia per me una persona affetta da una qualsiasi malattia, come dovremmo comportarci, attraverso l’ascolto attivo, e non solo come professionisti sociali, ma come cittadini attivi nella comunità.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.